Agencia Prensa Rural
Mappa del sito
Suscríbete a servicioprensarural

Pratiche e retoriche dei diritti umani in Colombia
Analisi della corrispondenza della Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace e il Governo colombiano
Natalia Biffi / venerdì 19 dicembre 2008
 

-Vuol dire- sorrise il colonnello Aureliano Buendía,
-che stiamo lottando soltanto per il potere-.
-Sono riforme tattiche- ribatté uno dei delegati.
-Per ora la cosa essenziale è allargare la base popolare della guerra-.
-Poi vedremo-
(Márquez, 1987:733).

Per un laureando della Facoltà di Scienze Politiche, corso di laurea in
Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo e la Pace (nome che forse
andrebbe cambiato o ripensato), dovrebbe essere fondamentale, al
momento di conseguire il proprio titolo universitario, avere la sensibilità
di interpretare gli avvenimenti ed analizzare le realtà di comunità, paesi,
continenti e del proprio contesto sociale, da una prospettiva di tipo
antropologico. Non nel senso tradizionale, evoluzionista ed
ottocentesco, [1] come ancora molte volte si sente parlare di questa
disciplina persino nelle aule e nei corridoi delle università, ma soprattutto
nella maggior parte dei luoghi dove si affrontano i temi dello sviluppo e
della cooperazione.

La prospettiva antropologica a cui si fa qui riferimento, consiste in
“quell’approccio che intende l’antropologia come disciplina capace di
narrare i piccoli mondi quotidiani nel loro rapporto con i grandi sistemi
di potere” (Taussig, 2005:IX). Tale approccio ci riporta alla memoria lo
sguardo di intellettuali, sociologi, antropologi e pensatori
latinoamericani degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, che riflettevano e
lavoravano sulla costruzione di metodologie di intervento sociale,
economico e culturale a partire dal basso, quello che in un linguaggio
Cepalino [2] è stato chiamato sviluppo endogeno oppure “sviluppo dalla
base”. Alcuni di questi teorici, specie economisti, furono i padri della
cosiddetta “teoria della dipendenza” come spiegato da Wilk “invece di
indurre la modernizzazione, lo ‘sviluppo’ creava dipendenza e povertà”
(Wilk, 1997:145), quadro di riferimento teorico che in una certa misura
riteniamo utile tenere presente anche in questo lavoro. E’ a questi
studiosi, infatti, che dobbiamo riconoscere il merito di aver denunciato,
tra i primi, le politiche arbitrarie del Fondo Monetario Internazionale e
della Banca Mondiale.

Analogamente, un’altra regola d’oro per un laureato in
Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo e la Pace dovrebbe essere
quella di sapere interagire e consolidare da una posizione politica un
dialogo di saperi con la realtà circostante. Questo significa avere la
capacità d’individuazione, e comprensione degli immaginari e delle
rappresentazioni che i nostri interlocutori associano a concetti, parole,
comportamenti.

Questa capacità si rivela ancor più necessaria nel campo della
cooperazione, soprattutto quando si inserisce nel discorso della difesa dei
diritti umani, politici e civili.

In molti momenti, infatti, può capitare che, nonostante vengano
usati gli stessi identici termini di riferimento, non sempre i significati e le
interpretazioni a questi associati corrispondono tra loro.

Sviluppo, benessere, terzo mondo, occidente, tecnica, diritti
umani, Nazione, Stato, governo, cooperazione, sono parole e concetti che
hanno significati ben diversi -a volte più giusti, altre non - da quelli che
gli conferiscono le comunità o i governi locali con cui si lavora. [3]

E’ d’altro canto importante ribadire che tali concetti, oltre ad
essere costruiti nella quotidianità locale in ogni realtà, viaggiano
attraverso il tempo e lo spazio in un contesto globale di piena influenza
reciproca, come spiega Anthony Giddens, la globalizzazione è
“l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro
località lontane, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati da
eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”
(Giddens,1994 in Zolo, 2005:5).

Questa tesi, oltre ad essere un lavoro di ricerca necessario a
conseguire un titolo accademico, risponde all’esigenza personale di
approfondire le rappresentazioni e le interpretazioni che la classe
dirigente della Colombia ha costruito a partire da alcuni concetti di uso
universale nella arena politica.

Pare insomma questo il luogo adatto a sondare, con un certo
rigore scientifico, i molteplici dubbi che suscitano le risposte, documenti,
lettere o relazioni che il Governo colombiano ha fornito in relazione alle
denunce nazionali ed internazionali sulla violazione dei diritti umani in
questo paese.

L’esperienza esistenziale di chi scrive costituisce il quadro entro
cui si è sviluppata, parallelamente al percorso universitario triennale, una
riflessione retrospettiva sul proprio impegno professionale. La magnifica
opportunità di scambiare le proprie percezioni con quelle di altri soggetti
impegnati nella Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace
Colombiane, oggi !Colombia Vive! Onlus, [4] ha consentito a chi scrive di
modificare e ampliare l’orizzonte d’analisi della sua realtà d’origine.

Si potrebbe dire persino che il risultato di questa tesi è frutto di
un gruppo di lavoro che con ostinazione, passioni ed intelligenze ha
assunto il compito di accompagnare le comunità di pace nel loro
processo di resistenza pacifica e di salvaguardare i loro diritti nella veste
di comunità internazionale.

L’analisi è stata realizzata in base alla lettura delle risposte fornite
dai funzionari governativi di fronte ai pronunciamenti, richieste e
denuncie inviate dalla Rete, ogni qual volta che i diritti umani dei
membri della Comunità di Pace di San José di Apartadó, sono stati
violati dallo "Stato colombiano" (Esercito, Funzionari, Polizia), da
gruppi paramilitari e dalla guerriglia. Ciò allo scopo di approfondire
sulla dinamica del discorso che sta alla base della sistematica e
permanente violazione dei diritti umani della società civile in Colombia,
nel caso specifico contro i membri della Comunità di Pace di San José di
Apartadó, nel periodo compreso tra il 2002 e il 2006.

Nello stesso modo, questo lavoro è stato pensato come un piccolo
contributo da offrire alla Comunità di Pace di San José de Apartadó,
legittimamente costituita, nei suoi 10 anni di Vita, comunità composta da
contadini e contadine che hanno scelto la via della “resistenza
nonviolenta” per difendersi da un conflitto che non appartiene loro.

In Colombia, a causa di una tara storica, questa opzione attiva e
legittima di fare rispettare i 380 articoli della Costituzione colombiana ha
costato loro, fino ad oggi 174 vittime e oltre 500 violazioni dei diritti
umani da detenzioni arbitrarie, minacce e maltrattamenti, fino a non
usufruire, nemmeno, dell’assistenza di base. I servizi sociali, educativi e
sanitari non sono garantiti dallo Stato colombiano.

E’ pertinente domandarsi a questo punto, perché tanta ostilità
verso una popolazione la cui unica pretesa è rispettare e fare rispettare il
mandato costituzionale colombiano?

I membri della Comunità di Pace hanno mostrato, a livello
nazionale e internazionale, il volto della speranza e del lavoro di tante
persone che in Colombia, solo per il fatto di parlare di diritti, venivano
considerate dapprima ribelli, dopo guerriglieri, ed ora terroristi.

Terroristi perché parlano dei diritti umani. Sono obiettivo militare
o semplicemente, sono minacciate perché fanno un’opposizione e
lavorano allo scopo di rendere più equa la realtà Nazionale.

Il fine di questa tesi non è quello di redigere un trattato di carattere
storico, né giuridico sulla Colombia di oggi. Più semplicemente si tratta
di un tentativo di capire perché in un paese che gode di qualità naturali
quasi uniche al mondo, un paese dove c’è una popolazione civile
creativa, allegra, lavoratrice, intelligente, semplice ed tenace, perché sin
dal giorno della sua indipendenza, quasi 200 anni fa, non si è mai smesso
di parlare di conflitti interni, guerre, armi, povertà delle masse,
corruzione, lotte per il potere, sangue, omicidi, guerriglie, paramilitari,
presidenti e figli di presidenti.

Contemporaneamente si ascoltano i discorsi sui diritti dell’uomo,
sul libero pensiero, sulla democrazia, il suffragio universale, la
partecipazione cittadina, l’impegno sociale, il congresso, i poteri separati,
le costituzioni, i costituenti, lo Stato Sociale di Diritto: così viene definita
la Repubblica della Colombia nell’art. 1 della sua Costituzione.
La prospettiva politica antropologica è stata il filo conduttore, orientata
da diversi saggi compilati nelle 410 pagine del libro "The Anthropology
of the State"
(Sharma e Gupta, 2006).

Tuttavia, un altro libro che ha ispirato la strutturazione della tesi,
così come è stata presentata, è senza dubbio, il libro di Michael Taussig,
My cocaine museum [5] (Taussig, 2005). L’autore descrive, con grande
capacità d’interpretazione, le percezioni locali di quelli
afrodescendientes chocoanos, nella gran maggioranza neri che lavorano
nell’estrazione dell’oro. Vivono a poca distanza dal Pacifico, sulle sponde
del fiume Timbiquí, in una zona dove la temperatura minima non è mai
inferiore ai 20 gradi centigradi. Loro vivono in quelle “lontane” terre del
Chocó.

Analizza profondamente, inoltre, gli elementi che hanno
contribuito alla conformazione del tessuto socio-culturale così
complesso, addirittura contraddittorio, e riflette sul sistema politico e i
suoi intrecci con un sistema mondiale dove il capitalismo ha svolto un
ruolo fondamentale:

E’ sufficiente passeggiare nel Museo dell’Oro per acquisire
una sia pur vaga comprensione di come, attraverso miti e
leggende, il mistero dell’oro abbia sorretto per millenni l’edificio
del denaro in tutto il mondo. Ma c’è un aspetto che manca. Il
museo resta silenzioso sul fatto che, per i tre secoli e più
dell’occupazione spagnola, ciò su cui la colonia si basava e da cui
dipendeva era il lavoro nelle sue miniere d’oro deli schiavi venuti
dall’Africa. Fu in effetti quell’oro, assieme all’argento del
Messico e del Perú, che innescò l’avvio del capitalismo in Europa,
l’inizio del suo processo di accumulazione. E non c’è dubbio che
questo riguardi le banche, se non altro per diritto di nascita
(Taussig, 2005:2-3).

Conversations in Colombia (Gudeman e Rivera, 1990) è un altro testo
cui si deve attribuire un certo valore per la stesura di questa relazione ,
seppure minore, incentrato sul lavoro di campo e realizzato con i
contadini che vivono in un “angolo del mondo” tra le Ande colombiane.
Campesinos Cundiboyacenses d’origine india con una certa percentuale
di meticciato, portano il poncho e il cappello, ascoltano musica
carranguera e sono discreti. La temperatura massima di quella zona non
arriva ai 20 gradi. Le loro voci hanno fatto riconoscere che in Colombia
l’essere contadino non è una impresa, è una condizione esistenziale.

Fondamentale, per dare voce alle intuizioni già presenti nelle
riflessioni personali, è stato il libro I Problemi di Antropologia dello
Sviluppo
(1994), del professore Antonio Colajanni, esso ha confermato
che progresso e sviluppo sono diventati miti attraverso i quali si perde la
dimensione della dignità umana.

Tuttavia i fondamenti concettuali non sono esauriti fino qui,
perché sono stati di somma utilità le nozioni acquisite nello studio delle
materie: Antropologia Politica ed Economica, Etnografia, Sociologia,
Diritto Comparato, Diritto Internazionale, Storia dei Sistemi Economici,
Sociologia della Globalizzazione ed altre. [6]

Hanno contribuito anche in questo spazio di riflessione,
l’esperienza professionale e personale di chi scrive sotto l’influenza di
autori come Fernando González, William Ospina, Orlando Fals Borda,
Daniel Prieto Castillo, Paolo Freire, Luis Ramiro Beltrán, Juan Diaz
Bordenave, Amartya Sen e Nietzsche.

La tesi è divisa in tre parti:

La prima parte, Paese statale – Paese nazionale a modo d’introduzione;

La seconda, Stato e Nazione in Colombia, descrizione del quadro
storico politico colombiano non da uno sguardo imparziale ma,
piuttosto, da una posizione politica che si spera non tolga il rigore
scientifico che merita un lavoro di questo genere.

Si presenta anche, attraverso la Comunità di Pace di San José de
Apartadó
, quello che abbiamo chiamato La geografía de la esperanza,
cioè, quel paese nazionale che in mezzo al conflitto armato
pacificamente richiama all’ordine l’autorità.

La terza parte, La corrispondenza; dove si presenta l’analisi
delle risposte del Governo ai pronunciamenti fatte dalla Rete
Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace
(2002-2006).

La Rete in un atto grande di fiducia ha aperto le sue porte e ha
messo a disposizione, senza timidezza, la corrispondenza scambiata con
il governo colombiano, oltre a fornire documenti scritti e materiali
audiovisivi realizzati da altri colombiani che camminano vicino alla
comunità come accompagnatori esterni. In questa relazione sono anche
vive le conversazioni con i contadini e i leaders della comunità che, nelle
missioni qui in Italia, hanno condiviso le loro lotte ed esperienze.

[1“...Per gli studiosi di nostro secolo l’errore imperdonabile dei loro padri fu quello di essersi cimentati, a livello puramente teorico-
astratto con la storia dello sviluppo dell’umanità, dalle orde di cacciatori preistorici alla società industriale. Il progetto era dunque
metodologicamente errato, secondo molti, fin dal suo concepimento” (Li Causi, 2005:15).

[2CEPAL, Commissione Economica sull’America Latina.

[3Ad esempio, la Commissione Europea nell’ambito del programma Europeaid, eroga fondi per la promozione dei diritti umani. Sarà, il
Governo colombiano, in sintonia con l’Unione Europea in quanto alla comprensione del significato del rispetto dei diritti umani?

[4Formalmente, nasce nella città da Narni per iniziativa di vari enti locali ed associazioni italiane con l’impegno di offrire appoggio
politico a processi di resistenza civile Nonviolenta alla guerra e allo sfollamento forzato e il suo lavoro è diretto a rinforzare la
legittimità di queste esperienze per far si che i protagonisti del conflitto armato, compreso lo Stato, riconoscano e rispettino il diritto dei civili ad esercitare la loro neutralità e il legittimo principio umanitario di distinzione tra combattenti e popolazione civile non
combattente, sancito dalla Convenzione di Ginevra. Vedere Appendice III , Allegato 1.

[5Si nomina il titolo originale, poiché la traduzione italiana, Cocaina: antropologia della polvere bianca, non corrisponde all’essenza del
testo.

[6Li Causi (2005), Wilk (1997), Volpi (2000), Cassese (2003;2004), Zolo (2005), Beck (1999; 2001), Morbidelli (2001).


Descargar archivos:

Tesi
Appendice 1
Appendice 2
Allegato 5